In questa anomala giornata d’aprile, in cui le temperature sembrano essere tornate quelle invernali, provo a scaldarvi un po’ la temperatura corporea — e magari anche ad alzarvi la pressione — mostrandovi numeri e dati di quello che è oggi il mercato dell’arte.
Il mio intento è semplice: farvi avvicinare con naturalezza e passione a questo mondo meraviglioso, sì, ma anche complicato, sfaccettato e per molti versi difficile da comprendere. Ci sarebbero tante dinamiche da raccontare, ma rischierei di annoiarvi — e l’arte, per definizione, non può annoiare.
Il nostro amato Paese, l’Italia, continua a essere una potenza dormiente nel mercato globale dell’arte. Conta poco nei numeri (meno del 2% del valore totale, secondo il report The Art Market di Art Basel & UBS), ma pesa tantissimo in quanto a collezioni, qualità, storia e immaginario collettivo. Come si dice? La storia non si cambia. E, per fortuna, per l’Italia questa legge resta ancora una certezza.
Siamo in piedi grazie a ciò che ci hanno lasciato i nostri avi. E oggi, con lentezza ma determinazione, proviamo a rientrare e riaffermarci. Ma i rivali sono forti, strutturati, con capacità economiche molto superiori. La strada, quindi, non può essere quella dell’imitazione. Non possiamo copiare il mondo. Dobbiamo fare l’opposto.
Serve una nuova rinascita. Un nuovo stile. Un nuovo movimento.
Dobbiamo ripartire da ciò che sappiamo fare meglio: trasmettere qualità, creare bellezza, innovare con genialità. Serve un tocco d’italianità, quella vera, quella che il mondo ci invidia e che oggi si è un po’ sbiadita. Solo così potremo tornare a essere grandi.
Nel frattempo, le gallerie internazionali, le banche e i collezionisti stranieri hanno già messo radici operative in Italia. Chi si muove con visione ha colto per tempo le opportunità. Le istituzioni italiane invece, purtroppo, restano lente, bloccate da leggi datate e normative che spesso, anziché proteggere il patrimonio, lo frenano. E con lui frenano anche gli artisti contemporanei e l’intero sistema produttivo dell’arte. Un’occasione persa.
Negli ultimi anni però, un colpo di scena silenzioso ha cambiato lo scenario: la flat tax per i nuovi residenti (100.000 euro all’anno, più 25.000 per ogni familiare). Un provvedimento fiscale tanto tecnico quanto efficace. Ha attirato in Italia personaggi noti, imprenditori internazionali, collezionisti e investitori.
Lo dimostrano le ville comprate in Toscana, i castelli restaurati in Sicilia, le masserie in Puglia diventate centri culturali privati. Non sono semplici acquirenti: sono mecenati moderni, in cerca di bellezza, prestigio e stabilità. E l’Italia offre tutto questo, tranne – paradossalmente – una macchina commerciale degna del suo nome.
Le persone che potrebbero rilanciare il sistema italiano dell’arte ci sono. Quello che manca è un supporto istituzionale che permetta loro di lavorare con meno vincoli, meno burocrazia, meno notifiche automatiche su opere che non hanno rilevanza strategica per il patrimonio nazionale.
L’Italia ha un potenziale inespresso enorme. Chi fa impresa nel mondo dell’arte lo sa: il contesto è fondamentale. E l’Italia è, per contesto, puro oro.
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Il primo Paese al mondo per siti UNESCO
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Scuole di restauro d’eccellenza (Opificio delle Pietre Dure, ISCR, CCR La Venaria)
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Maestri artigiani che il mondo ci invidia
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Know-how diffuso, tramandato da secoli
Eppure, in mancanza di una regia, restiamo fornitori invisibili: creiamo, restauriamo, insegniamo… ma non monetizziamo.
Il talento c’è, la bellezza pure. Serve solo un sistema che ci creda davvero.
Tommaso Masi – La Gazzetta dell’Arte

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